L’interrogativo non è da poco. Intere generazioni sono state contrassegnate dal senso di colpa, instillato dall’educazione, dal sistema di valori sociali ed esistenziali, dal tessuto relazionale familiare. La famiglia, una volta agenzia educativa primaria, era il luogo in cui si insegnava ai bambini ad essere “buoni” e ubbidienti, ottenendo questi risultati in parte con la coercizione (punizioni di vario genere, incluse le percosse), in parte con un sapiente e spesso inconscio uso del senso di colpa. Comportarsi “male” avrebbe procurato un dispiacere alla mamma e al papà, non attendere ai propri doveri di figlia, o figlio, avrebbe provocato una severa riprovazione esterna, ma anche una severa riprovazione interiore. Una vocina rimproverante, quel senso di disagio “dentro”. Parliamo di un’ epoca in cui la società tutta ruotava intorno a pochi valori certi: la famiglia, la religione, il lavoro, l’onestà, la dignità e dove i comportamenti individuali erano sottoposti al giudizio della “comunità”. Inoltre l’influenza della Chiesa Cattolica era molto forte con un atteggiamento colpevolizzante verso comportamenti sessuali quali masturbazione, rapporti sessuali prematrimoniali, rapporti sessuali extra coniugali, omossessualità sia femminile che maschile, gravidanze fuori dalla sacralità del matrimonio, ritenuti assolutamente peccaminosi ed immorali. La morale maschile era diversa da quella femminile, e sicuramente nelle donne si verificava un rafforzamento del senso di colpa. Il compito di una donna “per bene” era essere buona figlia, brava ragazza e buona moglie. Sembra preistoria. Ma era proprio tutto sbagliato? E oggi che ne è del senso di colpa?
I grandi cambiamenti sociali e valoriali degli anni ’70 del secolo scorso, le profonde modificazioni legislative quali il nuovo diritto di famiglia, le leggi sul divorzio e sull’aborto e i relativi referendum, i profondi mutamenti della condizione femminile, unitamente a una nutrita serie di teorizzazioni psicologico-pedagogiche hanno avuto grandi ripercussioni su tutto il sistema educativo delle ultime generazioni, approssimativamente per quanto riguarda i nati negli ultimi 30 anni.
Educazione maggiormente permissiva, non solo in famiglia ma anche nella scuola, libertà di parola e d’azione, costante riduzione delle punizioni corporali, un sistema educativo maggiormente fondato sul dialogo, sulla comunicazione e sulla tenerezza, su una presenza genitoriale non più incombente dall’alto, ma affiancata paritariamente agli individui in crescita per amare, incoraggiare, sostenere hanno contribuito a formare generazioni di individui “nuovi” rispetto al passato. Tutto molto promettente, almeno in teoria, ma nell’applicazione pratica qualcosa non ha funzionato. Libertà e rispetto si sono lentamente trasformati in lassismo. L’apparente parità di rapporto fra genitori e figli spesso sfocia nell’abdicazione dei genitori al proprio ruolo, da un lato, mentre dall’altro diviene comodo alibi per giustificare l’egoismo degli adulti che evitando il conflitto con i figli si semplificano l’esistenza.
Quei modelli educativi non erano finalizzati a rendere più semplice il ruolo genitoriale ed educativo in genere, se mai esattamente il contrario. Comportavano un costante lavoro di analisi ed elaborazione del rapporto con i figli per riaggiustare costantemente il tutto alla luce dei cambiamenti evolutivi dei figli stessi, ma anche dei propri, in un sistema di maggior complessità veramente interattivo/relazionale. Implicavano il passaggio da identità forti e ruoli rigidamente predefiniti a identità più sfumate e in costante progettazione e costruzione congiunta. Non si poteva pretendere che le persone fossero preparate a tutto ciò per di più in un’epoca in cui le donne, da sempre detentrici della funzione educativa dei figli, si inserivano massicciamente nel mondo del lavoro fuori casa. Quindi, ricapitolando: cambiamenti sociali e del sistema dei valori fondamentali della società, ridefinizione dei ruoli dei soggetti coinvolti (soprattutto le donne) e dei modelli sia educativi che culturali hanno fatto sì che alle famiglie si chiedesse di più, in un momento in cui il tempo da dedicare ai figli subiva una costante contrazione. Le funzioni educative, nel senso più ampio dell’espressione, sono state massicciamente delegate alla scuola, anch’essa però in serie difficoltà nell’affrontare questo compito. Alla fine si è verificata una sorta di cortocircuito.
Genitori sempre meno presenti si percepiscono come “cattivi”, come genitori che “abbandonano” anziché accudire, si sentono “in colpa”, temono di danneggiare i propri figli e in un estremo tentativo di riparazione rinunciano ad una parte molto importante del proprio ruolo: l’antagonista. Così i rapporti fra adulti e nuove generazioni sono divenuti squilibrati. Uno dei due poli della relazione, l’adulto, si fa sempre più piccolo quasi fino a scomparire permettendo all’altro di diventare abnormemente e artificiosamente gigantesco, privandolo di una vera relazionalità.
Il senso di colpa per il poco tempo trascorso con i figli fa sì che, sempre più, l’affettività venga veicolata dalla trasmissione di beni materiali svuotati di valenze simboliche. Il “no” non è più ammesso né ammissibile, ma senza lotta e conflitto non c’è crescita, senza dolore e frustrazione l’individuo non diviene adulto. I genitori, in questo estremo tentativo riparatorio trovano anche una modalità apparentemente efficace per tacitare il proprio senso di colpa e in tutto questo caos emozionale cosa succede ai nostri bambini? Come crescono? E soprattutto come si collocano rispetto al senso di colpa.
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