Ebbene sì siamo un popolo di guardoni. Ve ne sarete accorte anche voi, soprattutto nel periodo primaverile ed estivo quando tutti siamo un po’ più svestiti. Tutti lì ad osservare e a criticare, il fisico, i vestiti, l’acconciatura , se poi c’è qualche chilo in più le critiche sono ancora più feroci, ma siamo solo noi italiani ad essere così o è un malcostume mondiale?
E’ un dato di fatto che l’umanità al di là delle differenze etniche e culturali è accomunata da una serie di atteggiamenti corporei e mentali, tuttavia in base a quanto ho potuto osservare, direi che si tratta di un malcostume abbastanza nostrano.
Mi riferisco a quel modo di posare lo sguardo sulle altre persone alla ricerca del difetto, dell’imperfezione, quello sguardo a volte irridente, a volte di ipocrita compatimento che può avere conseguenze pesanti, tenuto conto che non è così piacevole essere costantemente “scannerizzati”, soprattutto quando non si ha un bel rapporto con il proprio corpo o comunque con sé stessi.
Le cause di questo nostro modo di essere sono molteplici, ma riconducibili a tre fattori fra loro interconnessi: come popolo siamo vittime di un certo provincialismo che limita le nostre vedute e di una certa mancanza di libertà del pensiero; dal punto di vista psicologico manteniamo una concezione egocentrica del mondo, per cui “come faccio io non fa nessuno” e “quel che penso io è sempre più giusto rispetto a ciò che pensano gli altri”.
I gusti individuali, però, sono strettamente personali e alla fine ognuno è, e deve essere, libero di seguire le proprie preferenze; non riconoscere a sé stessi e agli altri questo diritto fondamentale può tramutarsi in una vera e propria violenza psicologica.
In alcuni casi infatti si va oltre la critica estemporanea e, l’abbigliamento, l’acconciatura, addirittura le fattezze del corpo o del viso determinano come ci si pone verso un altro essere umano, sulla base di stereotipi e pregiudizi che portano ad una valutazione “a priori” di una persona in realtà del tutto sconosciuta. Queste errate conclusioni portano a dare fiducia a chi sa apparire nel modo “giusto” e a diffidare, addirittura ad escludere chi invece è fuori da certi canoni.
Avevamo già sottolineato in precedenza il prepotente bisogno delle persone di essere accettate dagli altri e, proprio in ragione di tale bisogno, si scatena la corsa all’inganno e al “travestimento mimetico”, in un rispecchiamento falsificante reciproco.
Ritornando al profondo senso di disagio delle persone che, per caratteristiche fisiche o di personalità, di fatto vengono osservate in modo insistente e persistente dagli altri, va detto chiaramente che quello sguardo a volte irridente, a volte di commiserazione procura grande sofferenza. Uno sguardo può essere come una lama che ferisce l’anima.
Ci avete mai pensato? Siete mai state ferite così? Ecco dovremmo cominciare a riflettere su questo: uno sguardo può ferire, può provocare dolore e può generare un turbamento emotivo molto molto forte e sgradevole; nonostante venga sbandierata una grande “libertà”, in realtà pochi di noi sono così solidi e si accettano così armonicamente da non lasciarsi condizionare dal giudizio altrui. Solo alcuni sanno riconoscere con obiettività i propri pregi e, soprattutto, i propri difetti accettandoli per quelli che sono; i più sono in balia del giudizio altrui, un giudizio spesso severo e impietoso.
Chi è meno giovane ricorderà una canzone che diceva “se sei bello ti tirano le pietre, se sei brutto ti tirano le pietre”, sembra banale ma è realmente così. Le belle e i belli scatenano invidia ( sì perché anche gli uomini sono invidiosi a dispetto delle apparenze), le brutte e i brutti vengono rifiutati.
La televisione poi non fa che alimentare questo meccanismo perverso. E’ vero che all’estero la gente si veste e si acconcia in modi che consideriamo “strani”, oggetto delle nostre critiche, però è altrettanto vero che se in Inghilterra non ci si vergogna di uscire con le scarpe sporche o con i colori dei vestiti mal abbinati, ci si vergogna parecchio di non rispettare una fila, di non fermarsi ad un attraversamento pedonale o di buttare l’immondizia per la strada. Qui da noi si è “osservatori impietosi” dell’estetica e della fisicità della persona, sul resto si è di una cecità assoluta: al di là di tutte le arie che ci diamo siamo parecchio indietro su molte cose. Siamo ancora legati a stereotipi antiquati e superati, a “valori” da “Italietta” anni ’50 reduce da una miseria atavica per cui l’attenzione e lo sguardo rimangono focalizzati sulle apparenze:”Mio Dio quelle scarpe con quel vestito, che orrore!!!”
Mi si obietterà che c’è libertà di opinione e di critica. Certo, sicuramente sì, ma ciò che non funziona è l’arrestarsi di fronte alla banale esteriorità senza andare oltre. Sarà capitato anche a qualcuna di voi: la cicciona del gruppo è tanto simpatica, intelligente, colta, ma…c’è un ma, è pur sempre una cicciona, quindi è un essere umano che vale un po’ meno.
Se vogliamo uscire dalla trappola gigantesca in cui ci troviamo, dobbiamo cominciare ad abbandonare questa concezione egocentrica del mondo e degli altri. Essere un po’ più introspettivi per conoscerci meglio e, nel contempo, ampliare gli orizzonti del nostro pensiero.
L’introspezione ci aiuterà a scoprire quegli atteggiamenti mentali che portano anche noi stessi a rivolgere “quello sguardo” a qualcuno, aprendo la strada alla consapevolezza che l’apparenza estetica è davvero poco rilevante: alcuni esempi quali Albert Einstein e Margherita Hack lo dimostrano in modo inequivocabile. Persone assolutamente geniali nei rispettivi ambiti, tuttavia senza alcuna cura dell’estetica personale.
Ponetevi questa domanda: “Se mi fosse capitato di incontrarli per la strada senza sapere chi erano, cosa avrei pensato, come mi sarei posta nei loro confronti?” Ampliare l’ orizzonte del pensiero sollevando lo sguardo dal terreno dell’apparenza, per dirigerlo verso la sostanza e l’interiorità altrui, può aprire universi nuovi e infiniti affrontando un percorso molto più stimolante, interessante e ricco di sorprese. Inoltre, così facendo, si intraprende un percorso di libertà, sia d’azione che di pensiero, e di giusta relativizzazione di sé e degli altri, ognuno con i propri difetti e con i propri limiti, per cui c’è poco da guardare e sghignazzare.
Insomma rivendichiamo il diritto ad essere come ci piacciamo (e anche come possiamo, con i nostri mezzi) e non riconosciamo né a noi stessi né agli altri il diritto di essere giudici impietosi e crudeli.
A presto e… parafrasando Renzo Arbore:”Meditiamo gente, meditiamo”.
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