Può capitare che noi donne ci guardiamo allo specchio e ciò che vediamo proprio non ci piace: il nostro corpo ci appare appesantito o non abbastanza magro, tonico, armonioso. Ci vediamo grasse e vogliamo assolutamente dimagrire. E così iniziamo con diete ferree, trattamenti estetici, ore massacranti in palestra, rinunciamo a cene fuori, evitiamo di mangiare pane, pasta, dolci: iniziano le privazioni!
“Mangio o non mangio questa fetta di torta? Sì, me la concedo”. Ma subito dopo: “perché ho ceduto? Sono sempre la solita, non sono capace di controllarmi. Domani mi limiterò ad una mela in tutto il giorno”.
Con queste premesse non di rado il rapporto con il proprio corpo può diventare conflittuale: una relazione di amore e odio soprattutto quando il piacere del cibo inizia ad essere logorato dalla paura di ingrassare. E si manifesta, in diversi momenti, sotto forma di piccole ossessioni: il desiderio di andare a cena fuori è intiepidito dal timore delle calorie; gli strappi alle regole sono seguiti da digiuni espiatori e da rimorsi che peggiorano notevolmente il tono dell’umore. Anche l’attenzione agli spostamenti a destra dell’ago della bilancia è esagerata; proprio quanto l’insoddisfazione rispetto alla propria taglia. Insomma, tutta l’attenzione inizia a ruotare intorno al pianeta cibo-corpo, spesso in maniera talmente forte, da interferire sulla qualità della vita. Che cosa cerchiamo di fare? Irresistibile richiamo quello che ci dice che in una settimana perderemo tre chili senza fatica: come il canto di una sirena che ci spalanca la porta di un sogno: essere di colpo sottili come le ragazze che vediamo nella pubblicità o nelle riviste di moda che, con la nuova proposta, ci appaiono adesso raggiungibili. Ci mettiamo a dieta e già ci sentiamo più leggere ma lo specchio non è d’accordo. E ci dice che la pancia è sempre là, il viso tondo, le cosce grosse, la cellulite accumulata sul sedere. Cosa facciamo allora?
Evitiamo di fare shopping, di comprare quel vestitino che ci piace tanto, rinviando l’acquisto al momento in cui avremo raggiunto la linea perfetta. Evitiamo di valorizzarci, di prenderci cura di noi perché non ci piacciamo, ci trascuriamo. Tendiamo a rinviare le gratificazioni e le cose che ci danno piacere al momento in cui il nostro corpo sarà come noi desideriamo. Non ci sentiamo attraenti e non facciamo niente per esserlo. Con le persone in genere e con gli uomini non mostriamo la nostra femminilità, non crediamo di poter suscitare interesse nell’altro, siamo convinte di non potere piacere, ma così facendo, non cogliamo i segnali che arrivano dall’esterno e non li inviamo di conseguenza. Evitiamo di fare sport o attività fisiche che mettono in primo piano il nostro corpo, ci obbligano a confrontarci con lui, a sentirne i movimenti, la pesantezza, perché proviamo disagio nel farlo.
Cosa ci sta succedendo? Se continuiamo a guardarci allo specchio alla ricerca di difetti, ci convinceremo sicuramente di averne. La sindrome dello specchio, il guardarsi troppo o troppo poco, in entrambi i casi, alla base di questi comportamenti c’è la stessa idea: che l’aspetto fisico sia la misura del proprio valore e della capacità di controllarsi a tavola. Quindi vedersi snelle equivale a sentirsi in gamba, e viceversa. E lo specchio diventa buono o cattivo a seconda dell’immagine che ci rimanda. Anche lo specchio può mentire: tutto dipende da come ci specchiamo ma soprattutto da cosa vogliamo scoprire nella nostra immagine riflessa. Spesso non ci guardiamo in modo neutrale, pronte a cogliere le sorprese positive, per esempio una pelle luminosa, un bel sorriso, i capelli lucenti. Ci osserviamo solo per ingaggiare con noi stesse una specie di “caccia al difetto” di cui lo specchio è un giudice severo e, in alcuni casi, anche deformante: se ci siamo convinte di essere grasse, a forza di scrutarci, riusciremo sicuramente a vederci con qualche chilo in più. Quindi, non guardiamoci allo specchio mentre ci tocchiamo i “rotolini di grasso”, l’effetto è quello di deprimerci ancora di più, e diventa quasi spontaneo cercare di consolarsi con una fetta di torta o un maxi-gelato. Piuttosto cerchiamo di imparare a staccarsi dal giudizio dello specchio, in modo da ridimensionare l’importanza dell’aspetto fisico e riconoscere che, oltre al corpo, possiamo contare su altre qualità.
Impariamo allora a fare amicizia con il nostro corpo, a viverlo come un alleato e non più come un nemico, che ci fa stare male, rendendoci continuamente insoddisfatte perché non è come noi lo vogliamo.
Scopriamo il piacere nel fare cose per lui e iniziamo a modificare il nostro punto di vista e vedere cosa succede se, per esempio, invece di fare un massaggio con il solo scopo di diminuire la ritenzione idrica, ci regaliamo un massaggio per il piacere di rilassarsi, coccolarsi e prenderci un’ora tutta per noi. E se fino ad ora ci siamo imposte di fare attività fisica per dimagrire, come se fosse una giusta punizione da infliggerci per aver trasgredito a tavola, iniziamo a scegliere un attività fisica che ci piaccia, ci diverta e allo stesso tempo ci permetta di tonificarsi.
La parola dieta è spesso sinonimo di restrizione e privazione. Iniziamo ad usarla nel senso di nutrizione, modo di mangiare, non di restrizione di calorie, ma di dieta come stile di vita. Quindi, iniziare una dieta non ha più il solo obiettivo di dimagrire ma diventa una “carezza” che ci facciamo, scegliendo cibi sani che ci aiutano a sentirsi meglio senza perdere il piacere del gusto del cibo e il piacere di “concedersi” cose che ci piacciono.
Impariamo a valorizzare gli aspetti positivi del proprio corpo e non solo i difetti o le imperfezioni. Iniziamo a vederne la globalità: piuttosto che focalizzare sempre lo sguardo sulla parte del proprio corpo che non ci piace, osserviamo il nostro corpo nel suo insieme. Prendiamo confidenza con la nostra immagine e diventiamo amiche dello specchio. Possiamo fare, per esempio, una classifica di ciò che ci piace di più e meno di noi. Poi, seguendo l’ordine, per due – tre minuti, osserviamo allo specchio le diverse parti del nostro corpo fino ad arrivare a quella meno gradita. E’ un trucco che funziona perché ci permette di valorizzarci nell’insieme e quindi di sfumare i difetti.
Una buona o cattiva percezione del proprio aspetto dipende molto anche dalla frequenza con cui ci si osserva a figura intera. Le donne generalmente tendono ad apprezzare di più il proprio viso rispetto al corpo perché lo guardano più spesso mentre si lavano o si truccano, così finiscono per non notare le imperfezioni.
Possiamo focalizzare l’attenzione sulle cose che ci danno piacere e gioia e iniziare a farle, a concedersi di agire per noi, magari sentendo di meritarsi tutto ciò: uscire con le amiche, andare dall’estetista per un massaggio, andare al cinema, a cena fuori.
Impariamo a non rinviare le gratificazioni e concediamoci dei piccoli piaceri quotidiani: acquistare oggetti o capi di abbigliamento che ci piacciono, che sentiamo di poter indossare adesso.
Cerchiamo di fare la pace con il cibo. Come? Ridimensionandone l’importanza e concentrandosi su altro. Concediamoci uno sfizio al giorno, come un cioccolatino o la fetta di torta a colazione. Così raggiungeremo l’equilibrio tra golosità e volontà di non ingrassare, allontanando sia la tentazione di abbuffarci, sia la paura del cibo.
La nostra autostima, per non dipendere dal peso corporeo, deve imparare a riconoscere l’influenza dell’immagini ideali, che i massmedia sottolineano giorno dopo giorno e per fare ciò diviene importante riappropriarsi di una “sana” percezione di sé, di un profondo autoapprezzamento che nasce dall’accettazione del nostro essere. Questo viene sicuramente facilitato da percorsi di crescita personale, da seminari che lavorano sulla corporeità, da incontri con counselors. E se ci sono davvero problemi di linea, anziché accanirsi sul cibo con digiuni o abbuffate, è molto meglio usare la stessa determinazione per dedicarsi ad una appropriata e rivitalizzante attività fisica. I vantaggi sono tanti: migliora la linea, la salute e anche l’allegria.
Un esercizio molto semplice da fare nei momenti in cui ci guardiamo allo specchio e ci sentiamo uno “schifo”, può aiutarci ad essere meno severe con noi stesse.
Viviamo in una cultura che considera il grasso simbolo di tutte le cose sgradevoli e il nostro corpo registra tutti questi pensieri negativi. Per invertire la tendenza si può iniziare con l’accettare quel filo di grasso in più che, anche se può sembrarci impossibile, ha delle qualità positive.
Chiudiamo gli occhi e visualizziamo il grasso come una parte di noi, una parte amica, individuandone gli aspetti positivi. Per esempio, il grasso è luminoso come l’olio, è morbido come un abbraccio, nutre come l’amore; insomma, è come un velo di seta, che tiene caldi gli organi interni e dona fluidità e morbidezza ai lineamenti. Ripetiamo questo esercizio di visualizzazione ogni volta che proviamo disprezzo e disgusto nei confronti del nostro corpo. Così facendo impareremo a fare amicizia con tutto il nostro corpo, anche con le parti che non ci piacciono. Accettare il nostro corpo nella sua totalità è il primo passo per iniziare a migliorarlo, perché questo può renderci più serene, consapevoli del fatto che un approccio diverso, permissivo, con il nostro corpo, può aiutarci a migliorarlo. Essere troppo severe con noi stesse non ci aiuta; viceversa si creano complessi che paralizzano. Essere più morbide con noi stesse, significa darsi la possibilità di cambiare e migliorare, anche nel corpo.
Chiara Parri http://www.relazioniinarmonia.it/
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