Ricordo una bella mostra a Villa Olmo a Como, ricordo bene la sensazione di felicità e appagamento provato mentre la visitavo e rimasta anche dopo. Perché avevo visto forme belle, forme vere, prendere consistenza su quelle tele, prendere corpo nei miei occhi, immagini ritratte da un artista che non si può non amare, il pittore seicentesco Pieter Paul Rubens. A lui e ai pittori fiamminghi era dedicata quella mostra. Ricordo però soprattutto la sensazione di “sentirmi a casa” perché lì c’erano raffigurate donne normali, donne vere assurte a dee della bellezza proprio per ciò che erano, donne formose che nel loro personalissimo aspetto rappresentavano l’unicità di ogni essere umano; e già solo per questo erano belle.
Ad osservarle meglio però quelle figure femminili erano belle anche perché non erano una semplice esposizione di nudità ma un incontro mistico con una sensibilità e una forza espressiva che prendeva vita nei chiaroscuri delle carni rosate, delle pieghe del ventre, dei fianchi, dei seni prosperosi, turgidi rifugi di antiche reminiscenze.
Una Venere accovacciata accanto ad un piccolo Cupido era la “summa” di tutto ciò che oggi farebbe la felicità di chirurghi estetici e di cliniche della bellezza. Rubens invece l’ha ritratta nella sua splendida imperfezione ed opulenza: a lui piaceva così. Una figura mitologica che diventa reale grazie alla raffigurazione di un corpo imperfetto potrebbe sembrare illogico; non per Rubens che rende questa Venere-Donna ancora più fascinosa, esuberante e sensuale. Unica. La bellezza è tutta qui: l’unicità, la capacità di distinguersi e alla fine, di esistere.
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